SERVIZIO IDRICO INTEGRATO: aggiornamento della mappa critica sulla Toscana.
confronti con Lombardia, Veneto, Friuli-VG, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige. UNA RICERCA IRES
A quasi 15 anni dal Referendum del 12 e 13 giugno 2011 in cui 26 milioni di cittadini italiani sancirono che sull’acqua non si sarebbe potuto più fare profitto, un aggiornamento sul sistema idrico nelle principali regioni del Centro Nord.
Dai dati è possibile capire come la promessa “nessun profitto” è stata portata avanti (o tradita) dal Servizio Idrico Integrato della Toscana sono i seguenti.
Il 70% dei gestori, pur essendo a maggioranza pubblici, hanno presenze di soci privati o di aziende formalmente pubbliche ma con una rilevante propensione alle logiche finanziarie (Acea e Iren); la qualità del servizio si colloca in una posizione intermedia, con aspetti eccellenti (consumi) e mediocri (perdite in rete e qualità contrattuale); gli aspetti economico-patrimoniali, in linea colle altre regioni, sono positivi, talvolta anche troppo (in particolare, il rapporto tra utili/margine operativo lordo e utili/valore della produzione); gli investimenti, pur elevati (ma non così elevati come si vorrebbe far credere), si collocano, sia che si considerino quelli lordi che quelli netti, a livello intermedio fra le varie regioni; in termini di occupazione ed efficienza del fattore lavoro, si colloca in linea colle altre regioni. Una delle maggiori anomalie toscane è rappresentata dalle più alte tariffe idriche a livello nazionale. Non solo le tariffe sono le più elevate, ma registrano un tasso di crescita particolarmente alto, che oscilla tra il 3 e il 6% annuo, tra 2 e 4 volte superiore al tasso di inflazione (1,5% annuo). Se è in parte vero (come sostengono i gestori) che l’elevato livello tariffario serve a sostenere gli ingenti investimenti necessari ad adeguare il servizio, è certamente vero che solo in Toscana (con isolate eccezioni) vi sono numerose aziende che distribuiscono dividendi, anche con rendimenti particolarmente elevati (dal 2,5% annuo di Nuove Acque al 7% di Publiacqua). La contraddizione, anche rispetto agli esiti del referendum del 2011, è evidente e andrebbe sanata, quale che sia l’orientamento dei singoli a proposito della natura del bene costituito dall’acqua.